11 maggio 2020

Emergenza Coronavirus: perché gli adolescenti la stanno gestendo meglio di tanti adulti

“Chi si occupa di pre–adolescenti e adolescenti (Neuropsichiatri dell’infanzia e dell’adolescenza, Psicologi, Educatori, ma anche gli stessi familiari) osserva che sono proprio i ragazzi che stanno dimostrando di reagire meglio alla condizione di inconsueta convivenza obbligata che si è venuta a creare nelle case in questa emergenza da Covid-19. I giovani stanno, infatti, dimostrando di sapersi assumere le proprie responsabilità e di sapersi riorganizzare “creativamente” nel nuovo contesto sfruttando le proprie inclinazioni e attitudini “fisiologiche”. La risorsa vincente si sta dimostrando la loro naturale predisposizione nei confronti delle nuove tecnologie e la loro abilità a sviluppare rapidamente elevati livelli di competenza informatica, a conferma dell’appellativo di “nativi digitali” rispetto a quello di “immigrati digitali” riservato alle generazioni che li hanno preceduti”, spiega il dottor Franco Vanzulli, medico chirurgo specialista in Neurologia e in Neuropsichiatria infantile, Responsabile dell'Unità Operativa di Psicopatologia dell'Età Evolutiva a Villa Santa Maria.

Dottor Vanzulli, cosa stiamo imparando sui giovani durante questa situazione di isolamento forzato?
Un primo dato positivo è, appunto, che grazie alla confidenza “naturale” delle nuove generazioni  con gli strumenti di comunicazione digitale, gli adolescenti della nostra società post-moderna, in questa  “drammatica” e imprevista emergenza, stanno dimostrando concretamente di essere capaci di un uso creativo della rete come opportunità di spazio e tempo alternativo di socializzazione e di aiuto, peraltro non solo con i coetanei. Stanno così dando prova di essere in grado molto più degli adulti di mettere a frutto le occasioni di socializzazione che le nuove tecnologie offrono, trasferendole nel vissuto quotidiano. Questa esperienza concreta può fornire interessanti spunti e contributi di riflessione al dibattito aperto sulle nuove forme di socialità del terzo millennio. Mi riferisco alla dibattuta questione sui vantaggi e i rischi connessi all’uso della Rete in età evolutiva e, nello specifico, alla possibilità paventata di un utilizzo “patologico” di Internet. Ma penso anche alla ipotizzata correlazione esistente fra l’uso “problematico” dei nuovi social media da parte delle giovani generazioni e la “perdita della socialità”: se le reti sociali intermediate tecnologicamente portino o meno a relazioni poco autentiche o, ancor peggio, all’isolamento e alla solitudine sociale in relazione alla natura potenzialmente “dissociativa” delle esperienze online, che tendono ad assorbire le persone in un mondo parallelo con coordinate spazio-temporali diverse rispetto a quelle della vita reale.

Cosa significa questo in termini relazionali?
Dobbiamo prendere atto che i nuovi adolescenti vivono, socializzano e studiano in maniera del tutto differente rispetto alle generazioni precedenti. Nel loro mondo la manifestazione del reale e quella digitale sono intrecciate l’una all’altra. Essi fanno costantemente esperienza del mondo nei media digitali e nella realtà fisica circostante: per loro il virtuale è reale. In questa condizione i ragazzi percepiscono che una relazione può essere profonda, vera, fondamentale anche quando tecnologicamente mediata. In questa circostanza emergenziale noi adulti dobbiamo capire come sfruttare, favorire e potenziare in modo utile le tecnologie, perché possono rivelarsi uno strumento efficace per rompere l’isolamento e la noia dei ragazzi. E anche la nostra.
Su Il Sole 24 ore è apparso recentemente un articolo molto significativo relativo alla campagna di sensibilizzazione lanciata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) , intitolata Play Apart Togheter, che raccomanda, durante l’emergenza sanitaria, di osservare scrupolosamente le prescrizioni di distanziamento sociale per evitare il rischio del contagio da contatto, ma contemporaneamente invita a preservare i legami interpersonali attraverso l’utilizzo della rete come piazza virtuale di incontro e di scambio e l’incentivazione del gioco online con lo slogan: “Durante l’emergenza videogiocate!”

Villa Santa Maria rappresenta un osservatorio e un’esperienza certamente  particolari: ci racconti come i ragazzi stanno vivendo questo periodo.
Una situazione analoga hanno vissuto anche gli adolescenti e pre-adolescenti ospiti residenziali nell’Unità Operativa di Psicopatologia di Villa Santa Maria, dove sono degenti da prima dell’emergenza sanitaria. Questi ragazzi sono stati a lungo costretti a restare isolati all’interno della comunità e hanno dovuto sospendere gli incontri e le uscite con i genitori, oltre a tutte le attività extra che in tempi abituali scandiscono le loro giornate. Quelli tra loro che erano “più avanti” nel proprio percorso terapeutico hanno dovuto sospendere anche i rientri domiciliari con pernottamento a casa nei week end, che rappresentano una “messa alla prova” e un collaudo del loro recupero di competenze personali e sociali ai fini del rientro definitivo nei propri contesti di vita. È stato necessario un lavoro di supporto psicologico perché i cambiamenti non venissero vissuti come interventi punitivi, ma compresi come misure di tutela e di protezione nei loro confronti.
Anche i nostri ragazzi ci hanno sorpreso per come hanno saputo reagire alla situazione di restrizione: in modo responsabile alle difficoltà e alla noia e si sono rivelati una grande risorsa.  Anche nel loro caso il supporto delle tecnologie è stato fondamentale, avendo consentito la  preservazione delle relazioni online, ma anche come strumenti di gioco e di condivisione di interessi e attitudini per combattere la noia, nonché come mezzi informativi per tenersi aggiornati sull’emergenza sanitaria e sulla realtà “di fuori”.

Quindi gli strumenti di socializzazione, gioco e condivisione online, spesso denigrati da noi adulti, si sono rivelati utili e positivi sotto tanti punti di vista?
Indubbiamente sì, ed è significativo a questo riguardo citare le iniziative sponsorizzate in questo periodo dall’OMS: sono stati organizzati eventi dedicati, esclusive ricompense in-game e addirittura giochi distribuiti gratuitamente, avvalendosi del supporto di numerose realtà di settore. Che il gaming non rappresenti sempre e comunque una cyber-dipendenza patologica da contrastare con forza e non equivalga necessariamente all’isolamento sociale e all’autoreclusione dell’hikikomori, ma possa rappresentare, in particolari situazioni, l’unica modalità possibile di preservare una frequentazione/relazione sociale è, d’altra parte, parere condiviso dalla maggioranza dei Neuropsichiatri dell’infanzia e dell’adolescenza che si occupano di ritirati sociali.
Ma che a incoraggiare la pratica del gaming sia  proprio l’OMS è certamente sorprendente   e molto significativo, visto che lo scorso 22 gennaio proprio l’Organizzazione aveva inserito il gaming disorder nell’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems.
Come commenta il professor Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, Presidente della Fondazione Minotauro di Milano e docente presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca: “È evidente come in questo momento l’Organizzazione intenda sottolineare un aspetto importante dei videogame: il gaming non è solo un’area nella quale i giovani lavorano sulla rappresentazione di sé e del proprio corpo. Al contrario, soprattutto in un momento di isolamento forzato, chat, comunicazioni via microfono e partite condivise sono un ambito privilegiato di socializzazione”.


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